Storia e memoria

COMMIATO DA MARIO TRONTI

Un momento decisivo nella maturazione politica di Tronti è forse da situare tra la sua rottura con i Quaderni rossi verso la fine del 1963 e il suo contributo al primo numero del gruppo di classe operaia (1964). Dopo una rigorosa formazione filosofica e politica e dopo l’adesione al Pci e la partecipazione ai Quaderni rossi, nell’editoriale del primo numero di classe operaia Tronti chiama a raccolta quanti intendono impostare una sfida di lunga lena a un capitale che ha scopato sotto il tappeto gli orrori della Seconda guerra mondiale e che incede sicuro nel suo sviluppo, tentando non soltanto di spingere il socialismo reale al declino ma anche di ridurre la sinistra occidentale a semplice fattore di stimolo dello sviluppo. Il primo editoriale di classe operaia, Lenin in Inghilterra punta all’offensiva e sfida le certezze del capitale del Secondo dopoguerra quale sistema vincente.  

Per chi leggeva allora l’inizio del secondo paragrafo di quell’editoriale, c’era un mondo da ripensare:

«Abbiamo visto anche noi prima lo sviluppo capitalistico, poi le lotte operaie. È un errore. Occorre rovesciare il problema, cambiare il segno, ripartire dal principio: e il principio è la lotta operaia».

Al confronto, persino la più originale opera marxista in lingua inglese degli anni Sessanta, The Making of the English Working Class di Edward P. Thompson (1963), che rivendica e dimostra l’iniziativa operaia nel disperato primo trentennio dell’Ottocento, sembra impallidire rispetto all’ardire del messaggio trontiano.

In breve, Quaderni rossi per il gruppo di classe operaia non sembra più uno strumento adeguato ai travagliati anni 1960, un periodo segnato dai passi ancora incerti di una nuova militanza che si muove a fatica in un clima conformista. La massa critica di attivisti di classe operaia (1964-67) è esigua ed è costretta a formarsi in pochi anni ma trova in sé abbastanza energia da preparare una minoranza agente fuori dalle istituzioni. Mario Tronti è al centro di questo esperimento ma decide di chiudere classe operaia ai primi del 1967, quando sembra che poco si muova nei luoghi di lavoro. Nel frattempo l’iscrizione di Tronti al Pci era stata sospesa. Le posizioni di dissenso rispetto alla decisione di chiudere classe operaia sono piuttosto numerose, soprattutto a Torino, a Venezia, a Milano, a Bologna e a Firenze e impegnano i dissenzienti a continuare nella militanza. Intanto viene tolta la sospensione dal Pci di Tronti che riprende la sua attività nel partito.  

Paradossalmente la vera frattura in classe operaia è postuma e si consuma a séguito di eventi che nel 1967 erano imprevedibili. L’occasione è il Convegno Studenti-Operai alla Facoltà di architettura di Venezia dell’8-9 giugno 1968, quando il Maggio francese si era appena concluso. È in quell’occasione che quegli ex-militanti di classe operaia che sono rientrati o sono neo-iscritti nel Pci lanciano un messaggio che invita alla prudenza in vista dei prossimi rinnovi dei contratti sindacali, mentre coloro che si considerano ormai extraparlamentari e che hanno continuato nell’opera di organizzazione autonoma con il giornale potere operaio veneto-emiliano avanzano piattaforme rivendicative ben più esigenti.

La spaccatura è netta: prudenza e moderazione nel contrastare un accordo-quadro sindacale con il padronato da una parte, e per contro radicalità sul salario e sull’orario dall’altra nel rivendicare le 120mila lire al mese e le quaranta ore settimanali. Nel suo intervento al Convegno, Tronti si dichiara favorevole a una lotta contro la ventilata proposta di un accordo-quadro tra industriali e sindacati ma contrario a eccessive richieste. Per contro, a nome di potere operaio veneto-emiliano tocca a Guido Bianchini avanzare le rivendicazioni delle 120mila lire al mese e delle quaranta ore settimanali, documentando la fondatezza delle richieste sulla base di una sommessa e capillare opera di coordinamento nella pianura padano-veneta. Anche se alla chiusura del Convegno veneziano l’esito del contrasto pare incerto, lo sviluppo delle vicende rivendicative del 1968-69 darà ampiamente ragione alla posizione di potere operaio veneto-emiliano e getterà le basi della formazione di Potere operaio nazionale. 

Nel suo intervento veneziano Tronti non manca di dare qualche indicazione di politica estera che probabilmente ispira la sinistra del Pci in quella congiuntura. Nonostante le molte perplessità nella sala, Tronti sostiene: 

[…] è chiaro che tra Parigi e Praga c’è oggi una forte affinità; in ambedue i casi noi troviamo che gli strumenti del potere sono risultati vecchi e inadeguati rispetto a una certa crescita dello sviluppo economico, ad una certa crescita dello sviluppo sociale

Quanto alla politica internazionale, tra qualche malumore dei presenti, Tronti sostiene che

Il Vietnam… è stato il punto che ha tenuto proprio nella rete che si andava smagliando anche a livello di resistenza del movimento internazionale. Così come, direi, è indubbio che la rivoluzione culturale cinese è stato il grande momento che ha rilanciato un certo tipo di iniziativa rivoluzionaria anche all’interno del movimento operaio.

Tuttavia, risolutiva appare l’apertura «di un certo tipo di movimento studentesco che non era esistito prima di questo momento…  il movimento studentesco direi che non ha niente di suo da proporre». Di qui deriva il fatto che «gli operai non hanno bisogno degli studenti nella loro lotta contro il padrone… Quello che è importante è assicurare la comunicazione tra fabbrica e società, tra fabbrica e stato, tra fabbrica e partito.»  

Pur rinunciando «a una definizione unica di crisi internazionale di iniziativa capitalistica», Tronti afferma che le ragioni materiali di questa crisi «torniamo a vederle di nuovo nel movimento delle categorie economiche e cioè nei livelli di classe degli operai e del capitale». L’appello finale è quello della risoluzione del problema dell’avanzamento e dell’aggiornamento «del partito».

A fronte di queste posizioni era chiaro in quel momento che la parte più riflessiva dei presenti si rivolgeva piuttosto alle pagine trontiane di Operai e Capitale e in particolare a quel Marx che Tronti più di ogni altro e nella solitudine dei primi anni 1960 aveva preso per i capelli salvandolo dall’onda del materialismo dialettico e dei manuali economici derivati, giù fino ai trattati patinati di economia politica che ritenevano indegno della propria missione affrontare i temi legati ai processi di produzione. Qui era possibile trovare gli aspetti del pensiero e della politica di Marx che si rivelavano nel nostro quotidiano di Guerra fredda, di blocchi contrapposti, di terrore nucleare, di colonialismo e razzismo e, per contrapposizione, di assenza delle questioni di genere nel dibattito politico. Grazie a Tronti, concetti come “forza di resistenza”, “forza d’attacco” enunciati apparentemente quasi di sfuggita da Marx tornavano a circolare, insieme con la critica del “valore del lavoro” corteggiato da molti economisti.

Negli ultimi tempi Tronti rivendicava la sua posizione di comunista e di straniero in patria. Cinquantasei anni prima, in un passo di Operai e capitale (1967, p. 220-221), Tronti aveva previsto il disprezzo per chi, come lui, si schierava dalla parte degli sfruttati:

Se l’opera di Marx viene ridotta a un fenomeno di storia delle dottrine, allora si può essere marxisti o non marxisti, in modo più o meno raffinato, ognuno nella propria dottrina. Ma se quell’opera stessa viene vista come un momento pratico della lotta di classe dal punto di vista operaio allora si tratta di essere marxisti in un unico rozzo senso, in quanto militanti rivoluzionari della parte operaia. In questo caso bisogna sapere che, sul terreno oggettivamente scientifico, le conseguenze sono pesanti. Rispetto alla scienza riconosciuta si deve accettare di lavorare nella clandestinità di un piano tutto diverso. I risultati non saranno dunque spesso confrontabili. Come studiosi, e dagli studiosi, rivendichiamo il diritto di essere disprezzati.

Al termine della sua vita non è andata così, ma non è mancato un certo fastidio dettato dai tempi nuovi che viviamo in Italia. Per fortuna, l’insegnamento di Tronti ha valicato molte frontiere e altre ne valicherà ancora.