Conflitti,  Lavori

Il nemico giusto

Bravi i ragazzi napoletani! Hanno fatto chiarezza in una giornata del 1 maggio piena di ipocrisie, ambiguità, opportunismi e di assordanti silenzi. Sono andati a manifestare sotto la sede di Confindustria. Hanno individuato il nemico vero, il padronato, che non rispetta più le regole delle relazioni industriali.

Le aveva inventate il capitalismo quelle regole, s’insegnavano nelle business school ed erano basate su un principio elementare: l’azienda deve fare profitti, di cui una parte, quella più consistente, va agli azionisti, ma una parte va ai lavoratori, perché in tal modo lavorano meglio, aumentano la produttività e consumano. Era un principio elementare di redistribuzione della ricchezza.

Il capitalismo neoliberale, quello che ha cominciato ad affermarsi in occidente negli anni Novanta, ha rotto queste regole, questo patto che era stato sancito con lo stato e i sindacati. In Italia questa deriva ha raggiunto il parossismo. Uno dei modi più semplici per rompere queste regole è non rinnovare i contratti di lavoro (CCNL) alla loro scadenza. Il 50% dei CCNL vigenti in Italia non sono stati rinnovati da “almeno” tre anni. In questo modo si mangia il salario alla gente, se c’è inflazione non viene compensata da alcun aumento o, se viene firmato un nuovo contratto, il recupero dell’inflazione è sempre insufficiente.

Chi ha dato una mano perché questa rottura delle relazioni industriali diventasse ancora più devastante? I governi che hanno introdotto nuove forme di contratto di lavoro, tutte orientate alla flessibilità, cioè precariato. Tutte forme contrattuali con minori tutele, tutte che costano meno alle aziende. Invece di punirle perché non redistribuiscono ricchezza, le hanno aiutate, sussidiate. Facendo firmare alle persone i contratti “flessibili” le aziende pagano meno contributi allo stato, all’INPS, all’INAIL, impoverendo la sanità pubblica, l’istruzione pubblica, la cultura pubblica. Il precariato quindi non solo produce quello che oggi si chiama “lavoro povero”, non solo produce posti di lavoro che non riescono a dare da vivere a una persona, ma produce una voragine nei conti pubblici, quindi meno servizi. Un contratto a tempo indeterminato deve versare i contributi INPS e INAIL, che servono a pagare le pensioni, gli infortuni. I nuovi contratti “flessibili”-  ce ne sono quasi una trentina – ne pagano di meno o non ne pagano affatto. Questi nuovi contratti arrivano all’estremo di prevedere lavoro gratuito (gli stages curriculari).

E quali governi hanno introdotto questi nuovi contratti flessibili? Soprattutto i governi di centrosinistra, dal famoso “pacchetto Treu” (1996) al Jobs Act (2015). Anche l’ultimo governo Draghi cosa ha fatto per rimediare a questo? Nulla.

E allora vedete quanta ipocrisia, quanto opportunismo, quanta mistificazione c’è nella richiesta, formulata dai segretari confederali, da esponenti del PD, da sindaci ed esperti, di un nuovo ”patto” tra stato, imprese e sindacati per creare occupazione migliore, per assumere più giovani e donne…..come? Erogando nuovi incentivi alle imprese, nuovi sgravi fiscali, nuovi premi. Cioè siamo ancora noi cittadini a dover tirar fuori i soldi per le imprese! In questo osceno bailamme del 1 maggio non c’è stato nessuno, nemmeno Mattarella che pure ha tenuto un buon  discorso a Cosenza, a dire alle organizzazioni padronali: tirate fuori i soldi, redistribuite la ricchezza, assumete persone con contratti decenti! (per non parlare dell’evasione fiscale dei redditi non dichiarati e dei soldi nascosti all’estero). Tanto più che i profitti dall’epoca della pandemia sono saliti alle stelle, come si può facilmente vedere dai dati Mediobanca. Guardate la famiglia Agnelli-Elkann, hanno ricevuto nel corso degli anni miliardi di sovvenzioni pubbliche, hanno venduto tutto alla Peugeot, chiudono le fabbriche in Italia e lasciano a noi pagare la Cassa Integrazione. Loro sono il simbolo, la quintessenza del padronato italiano.

Ecco, giovani napoletani, giovani di tutta Italia, vedete allora anche quanta ipocrisia c’è in questo “antifascismo” che si è manifestato dopo il governo Meloni! Anche Confindustria dice di essere antifascista. Per questo voi avete trovato la via giusta non dall’antifascismo di facciata ma dalla solidarietà con il popolo palestinese. L’antifascismo che non è anticapitalismo, in particolare che non riconosce che il potenziale autoritario del capitalismo digitale è peggio di quello di Mussolini, che Google, Amazon, Netflix sono delle potenze che vogliono impadronirsi del nostro cervello, della nostra immaginazione, dei nostri desideri, anche della nostra libido, è un antifascismo da strapazzo.